domenica 28 febbraio 2016

August STRINDGERG - Verso Damasco


August Strindberg (1849 - 1912) è per molti aspetti sconvolgente: non esprime concetti chiaramente percepibili, ma li sottende lasciando al lettore (trattandosi di un dramma, allo spettatore) la facoltà di intendere il non detto e sottaciuto. Le vicende narrate si rifanno sempre al suo vissuto, alle esperienze autobiografiche: svela la sua misoginia (si sposò tre volte interrompendo bruscamente i rapporti, affermando che "non esiste inferno più terribile del matrimonio"), la scarsa fiducia nel prossimo e il suo latente ateismo, frammisto all'anelito di trovare nella religione un probabile rifugio. Anelito espresso già nel titolo dell'opera teatrale di cui ci stiamo occupando (a Damasco San Paolo si convertì al cristianesimo perché folgorato da un intensissimo fascio di luce divina).
In 'Verso Damasco' (1898, quindi produzione della piena maturità) si identifica nel personaggio dello 'Sconosciuto', uno scrittore che concepisce la donna come essere inferiore (Strindberg era figlio di una serva del padre, condizione che fu la sua ossessione). E' considerato uno dei padri dell'Espressionismo, per le situazioni comportamentali fortemente estremizzate dei suoi personaggi. Mostra le sue conoscenze musicali facendo sentire - proveniente da una casa vicina a dove si svolge l'azione - una 'Romanza senza parole' di Mendelssohn che propongo alla vostra attenzione.

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Felix Mendelssohn Bartholdy (1809 - 1847) 'Marcia funebre' da 'Lieder ohne Worte' (Romanze senza parole) in Mi bemolle maggiore op.62 N.3. Al pianoforte Daniel Barenboim.
                                        
Significative  alcune frasi pronunciate dallo Sconosciuto /  Strindberg: "da quarant'anni aspetto la felicità"; "gioco con la vita come con la morte";  "temo la solitudine".
Sconcertante la scena del manicomio, una strana specie di convento dove un confessore intimorisce lo Sconosciuto - lì caduto in delirio - e gli fa vivere un'esperienza fantasiosa ma allucinante: viene minacciato con il Deuteronomio e le sue norme sulla convivenza sociale e familiare. Quella che lui ha sempre disatteso, pur aspirando ad una ricerca di metafisica redenzione esistenziale.
Ma i commenti di Audino e Ceravolo sono così esplicativi da rendere superfluo ogni mio ulteriore commento. 
             
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Registrazione di Radio3Suite del 25 febbraio 2016:
Stefano Catucci conduttore, Antonio Audino curatore della rubrica 'Archivio storico del teatro', coadiuvato da Massimo Ceravolo professore all'Università di Firenze di lingue e letterature nordiche.
Audino propone l'ascolto dell'edizione radiofonica del 19 maggio 1973 con la regia di Vittorio Melloni. Personaggi ed interpreti principali:
Lo Sconosciuto: Roberto Herlitzka; La signora: Marisa Fabbri; Il dottore: Lucio Rama.








lunedì 15 febbraio 2016

Mario FERRARESE - pittore da divulgare





Avrei dovuto precisare nel titolo, 'amico pittore', essendo Mario, io e le nostre spose, legati da un'amicizia che dura da anni, anche se l'avanzare dell'età ha diradato i nostri incontri. Non quelli telefonici o epistolari, ormai divenuti elettronici.  
Inoltre i quattro suoi quadri appesi alle pareti della nostra stanza di soggiorno, ineludibilmente  ricordano e nobilitano il luogo e l'animo.
Bene ha pensato Mario di 'eternare' le sue opere (1387!) in un pregiato catalogo dotato di due DVD che mostrano tutta la sua produzione artistica, senza esclusione di genere: schizzi, appunti, disegni e dipinti, alcuni dei quali esposti in mostre con esiti notevoli di pubblico e critica.


           Mario Ferrarese
Le relazioni umane sono complesse e variegate, spesso inique perché ascritte all'invidia, intesa nel senso di rammarico dell'altrui felicità: ciò induce ad ostacolare - o non favorire - il successo del contendente. Per un altro verso, può influire negativamente l'ambiente frequentato, poco propizio alla diffusione e alla conoscenza delle intrinseche qualità inerenti la 'cosa in sé'. Questo per dire che Mario avrebbe meritato un successo, un'approvazione pubblica ben superiore a quella ottenuta nell'ambito di una cerchia di amici e conoscenti. Ma la sua capacità di discernere il vero dal falso, avrà certamente destato in lui  il sentimento gratificante che si merita.
Difficile la proposizione di opere d'arte da scegliere nella sequenza, insigne ed eletta, da lui mostrata. Come iniziare? Quale proporre per prima?
Il quadro intitolato 'Chiarastella' apre il mio discorrere perché so essere nato da una spinta affettiva verso la nipote che porta lo stesso nome: una stella sembra essere una sovrannaturale apparizione nel gioioso, colorato mondo sottostante. Suggestione ambivalente: emotiva per i colori smaglianti come la giovinezza, e razionale per l'equilibrio compositivo.
Iniziamo il percorso artistico di Ferrarese seguendo l'ordine cronologico, al fine di evidenziarne l'evoluzione. 
Mentre leggiamo e vediamo le riproduzioni dei quadri, ascoltiamo i contrappunti  I, II e III de «L'Arte della Fuga» BWV1080 di Johann Sebastian Bach (1685 - 1750).
Esecuzione di 'Musica Antiqua Köln' diretta da Reinhard Goebel (Andras Staier e Robert Hill al cembalo).
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1953 - Viaggio nell'Italia meridionale (per migliorare la visione usa lo 'zoom')






Di primo acchito sembrano esiti fotografici, ma la geometria compositiva è già personale, appassionato segno grafico.



Ricerca comprovata nel disegno del 1955.

                                                                                
                                                                          


Il colore, mantenuto nella gamma scura, entra con esitante prepotenza.






Ma si afferma decisamente nel 1965.







Ne dà conferma l'olio del 1975.





Il 'senza titolo' del 1977 è una delicatissima china che cerca appropriati accostamenti di linee compositive. Cercati e trovati.


                   
  


Il 1980 è caratterizzato da un olio sui toni scuri: segno del subconscio che 'incrina'  l'innata giovialità del nostro pittore, del suo essere.
                                     

                      
                             



Ancora nel 1980, un disegno a matita piuttosto inquietante: le figure sembrano tendere verso un obiettivo agognato, ma irraggiungibile. 







NOTA: il percorso dal 1993 al 2009 comprende molti pastelli, pennarelli e matite acquerellate da me esclusi, probabilmente sbagliando, perché ritenute tecniche poco rilevanti. Gli oli e le tempere dello stesso periodo mi sono sembrati pregevoli, ma meno coinvolgenti.  


Delicatissimo acquerello suggerito formalmente da Afro, ma
con un personale, profondo apporto affettivo.






Epifania del colore! Quella che caratterizzerà - in gran parte - la produzione di Mario.






Predisposizione confermata in questo luminosissimo acrilico del 2009.








Da allora sono trascorsi soltanto quattro anni, ma pesanti nell'arco della vita, ormai prossima alla vecchiaia.






L'anno successivo crea un dipinto che - a discrezione del possessore - potrebbe essere capovolto.








                                                          


L'ultima delle opere di Mario porta il titolo "Im Abendrot" (Al crepuscolo), tratto da uno dei 'Quattro ultimi Lieder' (Vier letzte Lieder) di Richard Strauss (1894 - 1949). Propongo l'ascolto di questo brano - oltre che per la sua straordinaria bellezza - perché  composto alla considerevole età di ottantatré anni.
Momento della vita che porta a particolari riflessioni, consce o subconsce.
Il testo è del poeta tedesco Joseph von Eichendorff (1788 - 1857).
Qui, un giorno, vagammo insieme felici mano nella mano.
Ora, alfine, sostiamo nella pianura avvolta dal silenzio.
Le ombre sopraggiungono a esplorare le valli, mentre le tenebre pervadono l’aria immobile.
Due usignoli solitari cantano e colmano, così, i loro sogni. Avvicinati e lasciali cantare, presto sarà ora di dormire.
Com’è lontano l’inizio del nostro cammino e com’è profonda questa solitudine.
Oh riposo così a lungo desiderato!
Sentiamo, ora, il dolce sospiro della notte e siamo stanchi, molto stanchi.
Potrà, forse, questo essere la morte?
                                                                                                                          libera traduzione di d.v. magris

Ascoltiamolo nell'esecuzione di Jessye Norman accompagnata dall'Orchestra Gewandhaus di Lipsia diretta da Kurt Masur.

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Questo quadro, l'ultimo della raccolta di Mario FERRARESE, (ma gli auguriamo un lungo prosieguo) è su tela di sacco. 
E chiude, in profonda riflessione, un percorso artistico caratterizzato dalla gioia di vivere, non disgiunta dalle riflessioni che lo stesso vivere comporta. La cupezza dovuta alla tonalità scura prevalente, è in parte lenita dagli schiariti occhielli che faticano a farsi luminescenti: in perfetta armonia  col mondo reale e ideale, da Mario mostrato con segni, colori, idee e sentimenti.
Il tutto sorretto dalla rigorosa osservanza di ciò che Platone ha chiamato 'geometria' e ha definito come 'conoscenza di ciò che perennemente è". 




Precisazione: le considerazioni qui espresse, non hanno la pretesa di assurgere a parametri
                       valutativi, ma sono frutto dell'arbitrarietà propria alla categoria amatoriale. 
                       La loro motivazione è dovuta esclusivamente a spinte affettive.




giovedì 4 febbraio 2016

BRUGES - "LA CITTA'  MORTA"
 
 
 
 Oggi parlerò dell'opera che il compositore austriaco, ma naturalizzato americano, Erich Wolfgang KORNGOLD (1897-1957) ha chiamato 'Die tote Stadt' (La città morta) riferendosi a Bruges, la città belga famosa per i suoi canali che nel Medioevo consentivano anche a navi commerciali di grandi dimensioni, di raggiungere la città per via mare. Nel 1920, quando Korngold scrisse il libretto (tratto dal romanzo 'Bruges la morta' di George Rodenbach) e la musica dell'opera, la città viveva ancora  la stagnante  situazione  economica - e  il conseguente aspetto triste - dovuto  all'insabbiamento dello Zwin, il canale più importante, avvenuto nel XV secolo.
Attualmente è un vitale centro turistico, con eccesso di zelo chiamato 'Venezia del Nord'.

Erich Wolfgang Korngold
La motivazione che mi ha indotto ad occuparmi di Korngold e della sua opera, è dovuta al fatto che il canale digitale 'medici.tv' l'ha trasmessa dal vivo, il 30/01/16 in forma concerto, ripresa all' «Auditorium de Radio France».
L'«Orchestre Philharmonique de Radio France» è diretta dalla Maestra Marzena Diakun con i seguenti interpreti:
Marietta - Camilla Nylund soprano; Paul - Klaus Florian Vogt tenore; Frank - Markus Fiche baritono; Brigitta - Catherine Wyn-Rogers contralto.

Ho anche una registrazione ripresa al Teatro La Fenice di Venezia nel 2009 con la pregevole regia di  Pier Luigi Pizzi,  ma era riposta tra i preziosi ricordi della mia memoria.
E le due esecuzioni distano alquanto negli esiti interpretativi. La forma concerto assume un aspetto cameristico di cordiale, intima comunicazione e  suscita  emozioni tali da indurmi a parlarne.

TRAMA : a Bruges, Paul  piange  la morte della sua  giovane  sposa  Marie.  Incontra una donna che le assomiglia straordinariamente. Rimane angosciato e lacerato tra l'intimo desiderio di lealtà verso la moglie e le rinnovate pulsioni sessuali verso Marietta, la donna conosciuta. Abbandonerà Bruges, città per lui legata soltanto alla morte.

Korngold è un musicista di difficile collocazione stilistica: pur avendo operato nella prima metà del Novecento, si è inserito perfettamente nel contesto dell' Espressionismo musicale (Arnold Schönberg, Alban  Berg e Anton Webern), ignorando il periodo Fauve de "La sagra della primavera", o del Neoclassicismo (Pulcinella e altro) di Igor Stravinskij e rifiutando la teoria dodecafonica di Arnold Schönberg. 
Perdurano tuttavia, nella sua musica, influssi e suggestioni tardoromantiche: in special modo quelle wagneriane, sebbene alquanto interiorizzate. Se Wagner ipnotizza e sconvolge le viscere dello spettatore, Korngold commuove, smuove i suoi affetti più reconditi e le passioni riposte nell'inconscio. Come in Wagner, le voci non cantano Arie (ad eccezione dell'Aria di Marietta), ma 'suonano' insieme all'orchestra. E il coro proviene da lontano simile al 'tema dell'alba', cantato tra le quinte da Brangania nel 'Tristano e Isotta'. Sono, queste, scelte interpretative della Direttrice d'orchestra che ha voluto sdrammatizzare le relazioni sociali, riducendo gli aspetti espressionistici presenti nella musica di Korngold. Questa scelta sembra scorretta (e oggettivamente lo è), ma porta agli esiti cameristici di cui ho detto.
L'orchestrazione è piuttosto uniforme: i gruppi strumentali (archi, legni [oboi, clarinetti, fagotti e flauti], ottoni e percussioni) suonano tutti insieme, a volte prevalendo alcuni per timbro piuttosto che per dinamica (piano, forte ...). Questa omogeneità rende l'idea del silenzio, della noia e della tristezza che si specchiano nelle scure acque dei canali di Bruges, città morta (Questo luogo vuole il silenzio! ... L'amara realtà ha distrutto il regno della fantasia).
Il protagonista, Paul, identifica la sua sposa morta Marie con Marietta, donna di spettacolo, ballerina desiderosa di vivere e amare intensamente, senza gli indugi frapposti dal nostalgico - seppur innamorato - amante. Come affrancarsi dalla  contorta dipendenza psichica? Frank, spregiudicato amico infedele di Paul (possiede la chiave dell'abitazione di Marietta), ma uomo dotato di senso pratico,  decide di iniziare un nuovo percorso esistenziale cercando nuovi 'luoghi' affettivi e residenziali e invita Paul a seguirlo. 
A conclusione dell'opera, prima di lasciare definitivamente la casa dei suoi ricordi e Bruges, Paul canta sullo stesso motivo dell'aria di Marietta: "O felicità che mi sei rimasta, addio mia fedele amata. La vita è disgiunta dalla morte secondo una legge terribile". 
E noi spettatori - avvinti da tanto splendore musicale - stiamo ad attendere un' altra commovente, simile percezione.
Ascoltiamo la "Canzone di Marietta" (Marietta's Lied = Felicità che mi sei rimasta) nella esecuzione del soprano Renée Fleming, registrata al Met (Metropolitan Opera House) di New York.

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