mercoledì 2 novembre 2016

EROS E THANATOS - Pulsioni di vita e di morte in Musica


EROS E THANATOS 
 Pulsioni di vita e di morte in MUSICA



Gustav KLIMT - Vita e morte - 1908


Le ‘arti amatorie’, o erotiche, risalgono a prima dell’era cristiana; le troviamo come oggetti di discussione già nei banchetti ateniesi dedicati all’amore. In epoca romana Ovidio, nel suo ‘Ars amatoria’ dice che l’arte deve disciplinare l’amore per far sì che l’amante possa assumere un comportamento non mortificante l’ardore naturale. Nel Medioevo, in piena era cristiana, subentra - all’interno delle corti - l’arte erotica aristocratica, quella del corteggiamento delle dame da parte dei cavalieri e dei trovatori, centro dell’argomentare di amore e natura del canto trovadorico. 
'Kalenda maya' è una ‘chanson’ trovadorica su tempo di danza (la ‘estampida’), del trovatore Raimbaut de Vaqueiras presente in varie corti d’Europa del XII secolo.
I trovatori (di lingua d’oc, quindi del sud della Francia, in Provenza) e i trovieri (di lingua d’oil al nord) erano poeti e musicisti di alta levatura che venivano ospitati e vivevano nelle corti, contrariamente ai menestrelli che davano spettacolo in piazza.  
Scrive Raimbaut al marchese Bonifacio I° del Monferrato, suo signore: “Nella vostra corte regnano tutte le buone costumanze: munificenze e omaggi alle dame, vestiti eleganti, belle armature, trombe e divertimenti; e vielle e cantare”.
Dunque Bonifacio è munifico nei confronti dei collaboratori e servitori; nella sua corte le donne vestono elegantemente, i cavalieri portano belle armature e si danno belle ed eleganti feste. Il suono delle trombe accompagna i cavalieri nei tornei e nelle battaglie. E la viella (dalla quale deriverà la viola da  gamba e più tardi il violino) è lo strumento che accompagna trovatori e trovieri.
Raimbaut de Vaqueiras compose ‘Kalenda maya’ per Bonifacio, ma indirettamente per Beatrice sua figlia che lui amava e per il cui amore fu licenziato.
Questi i versi della Iª e della IIIª strofa: “Né il primo di maggio / nemmeno le foglie del faggio, né il canto degli uccelli, / nemmeno i fiori del gladiolo possono confortarmi, / gentile signora, finché non riceverò / un pronto messaggio del tuo cuore per parlarmi / con molto compiacimento, d’amore e di gioia”.
E la terza strofa: “Come posso aver perduto / o riconquistato una donna che non ho mai posseduto? / L’amor non è fatto solo di pensieri. / Quando un amante ha successo, / grande è l’onore che prova; / ma il nostro apparir cortesi / ha causato calunnie. / Non vi ho mai tenuta nuda tra le braccia, / né tantomeno posseduta. / Vi ho desiderato, / vi ho serbato la mia fedeltà, / ma invano”.
                                                   (F.A.Gallo ‘Musica nel castello’, Il Mulino 1992, p 17)  


Un modo spontaneo, questo, di unire amore e natura. Nella prima strofa Raimbaut offre il suo amore riferendosi alla ‘natura naturata’, cioè alla totalità delle cose prodotte nell’universo, per poi dilatare il senso del suo poetare con versi esplicitamente sessuali, ma non volgari: è un parlar di sesso con casto candore.


Ascoltiamo Kalenda maya (Calendimaggio = primo giorno di maggio) nella esecuzione del 'Martin Best Mediaeval Ensemble'.
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Se il Calendimaggio di Raimbaut de Vaqueiras esprime l’idea della donna angelicata, idealizzata e quasi smaterializzata in un'arte erotica direttamente legata alla natura, similare erotismo troviamo in alcune delle trentadue opere scritte da un musicista veneziano, organista in San Marco e allievo di Claudio Monteverdi (1567 - 1643).

Mi riferisco a Francesco Cavalli (1602 - 1676) nato a Cremona, ma formatosi a Venezia.
Dal 1637, anno di apertura del Teatro San Cassiano, Venezia diviene per tutta l'Italia il luogo di riferimento del teatro musicale caratterizzato da intrecci di tipo storico/paramitologico.
‘La Calisto’ fa parte di questo secondo gruppo: il soggetto è piuttosto licenzioso e ben rappresenta, con garbo ed estremo buon gusto, il gaudente e permissivo ‘modus vivendi’ della nobiltà e della borghesia veneziana. E' un dramma per musica di Giovanni Faustini, avvocato, poeta e impresario teatrale (con l’apertura del San Cassiano, nasce a Venezia l’imprenditoria teatrale). Il soggetto è tratto dalle ‘Metamorfosi’ di Ovidio e la sua prima rappresentazione è del 1651 al Teatro San Apollinare, sempre di Venezia che allora aveva una dozzina di teatri.
E’ un’opera compenetrata di quel naturalismo che conosciamo, affiancato ad una spregiudicatezza quasi inverosimile per quei tempi, o meglio, per come noi abbiamo sempre pensato la morale di allora. Vi troviamo, addirittura, un rapporto amoroso omosessuale tra Calisto e Diana – la dea cacciatrice – più esattamente quella che Calisto crede sia Diana, ma in realtà è Giove trasformatosi in Diana. Comunque, la bella Calisto ama teneramente una donna.
Musicalmente l’opera è frutto delle norme compositive del glorioso barocco, il primo barocco: i recitativi sono le parti drammaturgicamente più importanti, quelle in cui si realizzano le situazioni e si manifestano gli affetti; i recitativi non sono secchi né accompagnati, ma sono dotati di flessuosa plasticità vocale, legati strettamente al testo, ma non finalizzati soltanto alla percezione del testo come facevano i Cameratisti Bardi col loro ‘recitar cantando’. Il conte Giovanni Bardi riuniva, alla fine del ‘500, musicisti e uomini di lettere – tra cui Vincenzo Galilei, padre di Galileo – che avevano particolare avversione nei confronti della polifonia fiamminga per i suoi meccanismi contrappuntistici che avevano svuotato l’intelligibilità del testo letterario: le parole, cioè, non erano più comprensibili. Jacopo Peri sarà il primo a mettere in musica la ‘Euridice’ nello stile del ‘recitar cantando’.
L’orchestra della ‘Calisto’ ha una formazione minima: 4 violini, 1 violoncello, 1 violone e 2 flauti più il basso continuo costituito dall’immancabile clavicembalo, 2 tiorbe (specie di liuto, meglio, di arciliuto) e un organo. Ebbene, questo piccolo organico riesce ad evolvere un suo disegno musicale, anche se è la vocalità, sono le voci che sviluppano e concludono il dramma. Nei Preludi e negli Intermezzi (detti Sinfonie) e nei balletti – immancabili nell’opera barocca a completamento dello spettacolo – possiamo invece godere di tutta la genuina freschezza dei motivi arcadici densi di gioia naturalistica, spesso dionisiaca, che l’orchestra riesce a dispiegare.
E’ un’operina meravigliosa che affascina per la sua genuinità primigenia densa di erotismo ancora incontaminato dalla depravazione del libertinismo settecentesco, quello – per intenderci – delle ‘Relazioni pericolose’ di Laclos.

Trama:
Calisto - la bellissima - vive in Pelasgia (in Tessaglia) al seguito di Diana. Giove scende dall’Olimpo, si invaghisce di Calisto e le fa delle ‘avances’. La giovane gli ricorda il suo voto di castità e lo rifiuta: “Torna ne lo speco natio…che bever non voglio dei miracoli tuoi, libidinoso mago”. Giove, sapendo che Calisto venera Diana, prende le sembianze di Diana e la incontra nuovamente, le fa mille complimenti e la bacia. La vera Diana, invece, ama riamata il pastore Endimione. Linfea, la scatenata dama di compagnia di Diana, ‘vuol esser goduta’. Scende dall’Olimpo la gelosa Giunone, parla con Calisto dell’infedeltà di Giove e per vendicarsi la trasforma in una pelosa orsa. Ma Giove la vuole sempre accanto a sé e la tramuta in una stella dell’Orsa Maggiore.


'Piante ombrose' è un canto semplice rivolto alle bellezze della natura silvestre, privo di virtuosismi ma denso dei puri sentimenti che compenetrano la verginella. L’orchestra si limita ad accompagnare - come basso continuo - la vocalità che, sin dall’inizio dell’opera, mostra la sua prevalenza drammaturgica. Appare Giove, baritono, e dialoga con Calisto: badate al recitativo che esalta l’espressività autorevole propria di un dio, e l’ardore di un innamorato. Mercurio accompagna Giove quale consigliere, e canta un recitativo più animato perché vuole indurre la giovinetta a cedere alle profferte del suo dio supremo.
‘Verginella io morir vò’ è la continuazione del recitativo ‘Torna ne lo speco natio’ ed è il suo completamento. I flauti ricordano l’ambientazione bucolica.   

Ascoltiamo e vediamo 'Piante ombrose' nella rappresentazione del 'Théatre de la Monnaie' di Bruxelles: Calisto=Maria Bayo soprano, Giove=Marcello Lippi baritono. Concerto vocale diretto da René Jacobs.

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Pan, dio della foresta, è innamorato - non ricambiato - di Diana. Piange le sue sofferenze amorose perché “Amor ch’è un’aspide / con il suo tossico / ha morso il misero”. Silvano e il Satirino lo invitano a sperare ancora. Il canto di Pan è inizialmente dolce perché pervaso d’amore, ma la sua voce discende con un notevole salto d’intervallo nel pronunciare la parola ‘misero’ per denotare la caduta verso il basso, la perdita di dignità nel cedere alla disperazione di cui si fa prendere.
Segue il ballo degli orsi usciti dalla foresta. E’ uno dei tanti momenti inebrianti e favolistici del Barocco: danza gioiosa, vitale, dionisiaca che ben comprende in sé lo spirito naturalistico che anima l’intera opera.

Ascoltiamo 'Numi selvatici' del dio Pan - Sonatori De La Gioiosa Marca dir. Bruno Moretti.

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L'aria di Linfea è l'espressione più naturale delle voglie amorose di una scatenata vergine. Linfea, fedele accompagnatrice di Diana, ha deciso di rinunciare alla sua verginità e dice spudoratamente: “D’havere un consorte / io son risoluta, / voglio esser goduta!”. Il canto, in partitura, si enfatizza con dei vocalizzi-trilli del soprano che intendono esternare l’incontenibile gioia e attirare l’attenzione del messaggio da lei esplicitamente inviato. L’orchestra commenta  con naturale espansione, come se tutto stesse nella normalità delle cose. Anche in quelle, inimmaginabili nel Barocco, della singolarità voluta dal regista nell’affidare il ruolo a una voce maschile con una connotazione transessuale e volgare, distante dal comportamento di Linfea che è, naturalmente, una disinibita vergine.
Pure il II° atto si chiude con una danza (dei Satiri e delle Ninfe) che è un’esplosione di vitalità e gioia bacchica primigenia.

Ascoltiamo l'aria di Linfea - "D'aver un consorte" - dalla voce del mezzosoprano Milena Storti. 


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Appropriato ascolto di chiusura dell’analisi dell’opera, il poetico, estasiante duetto di una coppia spontaneamente e pudicamente innamorata.
E’ evidente il contrasto tra la melodia festosa di Diana cacciatrice in libera selva ("Io…saettatrice fiera, / vendicatrice Arciera, / non vo’ lasciar solo / tra questi horror selvaggi / chi mi dà luce ai raggi"), e quella pensosa e compenetrata di profondi sentimenti amorosi del pastore/astronomo Endimione ("Il bacio, il bacio basta / ad amatore onesto; / il bacio sol desio, non chiedo il resto:/ son del senso signore / né foco vil m’incenerisce il core")Qui inizia il duetto ‘dolcissimi baci, un nettare siete’, semplice nello sviluppo melodico perché tranquillo è l’animo dei due amanti non sconvolti da violenta passione, ma desiderosi di soddisfare il loro naturale gesto amoroso: per ora, un casto bacio.

Ascoltiamo il 'Dolcissimi baci', interpretato dal mezzosoprano Gloria Banditelli e dal controtenore Gianluca Belfiori.


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‘La Calisto’ ha rivelato un mondo che vorremmo rivivere: un mondo pulito, fatto di innocente, naturale sessualità. Momenti di naturale sublimazione del sesso, come quello del 'Cantico dei Cantici', in perfetta sintonia con l’opera di Cavalli appena ascoltata.

IV-(9) Tu hai ferito il cuor mio, o sorella mia sposa, tu hai ferito il cuor mio con uno degli occhi tuoi e con una treccia del tuo collo. (10) Quanto è bello il tuo seno, o sorella mia sposa! Le tue mammelle sorpassano il vino in bellezza e l’odore dei tuoi unguenti supera tutti gli aromi. (11) Favo stillante sono, o sposa, le labbra tue; miele e latte sotto la tua lingua; e l’odor delle tue vestimenta come odore d’incenso. VII-(11) Vieni, o mia diletta, andiamo fuori alla campagna. (12) … Al mattino alziamoci e andiamo alla vigna; veggiamo se la vigna è fiorita, se i fiori van partorendo frutti; se i melagrani sono in fiore; ivi darò a te le mie mammelle. 
(13) … nelle nostre porte son tutti i pomi; e i nuovi e i vecchi a te, o mio diletto, li ho serbati. 
VIII-(2) … Io darotti bevanda di vino aromatico e il mosto delle mie melagrane.

(La Sacra Bibbia vol. IV 'I Libri Sapienziali' pp. 296-303 - F.lli Fabbri Editori 1996

Il mondo di Eros è strettamente legato a quello di Thanatos: amore e morte non possono disgiungersi né possono essere disgiunti. Nel momento dell’apice dell’amplesso, quando il desiderio si placa e scema, non vi è più istinto né passione, né amore perché allora non ci sono più due persone: l’individualità è soppressa dall’intensità del godimento e, in quell’istante, perde il proprio io per entrare nel nulla. 
Possiamo quindi dire che l’amore è l’anticipazione della morte nel momento più vitale della vita.
In musica, amore e morte sono sempre legati da un vincolo che sta già nella struttura temporale. L’arte musicale è un mezzo di aggiramento del destino mortale dell’uomo, mezzo che permette di sostituire al tempo reale – quello del divenire di nascita e morte – un tempo fittizio che vuol essere l’espressione di un’esistenza sempre nuova che si perpetua nel tempo, indefinitamente. Possiamo pensare la musica come un’invenzione dell’uomo creata per aggirare la morte, per ignorarla: per riempire il nulla, il vuoto irreparabile della vita biologica conclusa.

Richard Wagner (1813 -1883 ) - Tristano e Isotta - duetto atto II°
E’ il momento celebrativo di amore e morte. Dice Tristano: "So stürben wir ... = Così moriremo / perché, inseparati, / in eterno uniti ..." . Dal tremolo dei violini nasce la melodia dolcissima di Tristano; il canto di morte viene ripreso da Isotta insieme a Tristano, ed è interrotto da un suggestivo intervento dell’ancella Brangania (lo si riconosce perché la voce è tra le quinte, ‘in eco’) che avverte gli amanti del prossimo sorgere del giorno e quindi dell’arrivo di Re Marke, sposo di Isotta. E' il Leitmotiv dell’alba, un messaggio che sembra provenire da un mondo remoto, una sonorità magica dovuta al suono dei violini, dei violoncelli e dell'arpa: un messaggio di risonanza cosmica.
E qui inizia l’esaltazione del canto di morte; da un pianissimo dell’orchestra nasce un fremito che aumenterà gradualmente sino a scomparire e lasciar posto al tema dell’estasi nel momento di identificazione dell’uno nell’altro: "Tu Tristano, io Isotta, non più Tristano! / Io Isotta, tu Tristano, non più Isotta".
Il tema – chiamato anche del desiderio – si sviluppa in un’ampia progressione modulante (la progressione modulante è la reiterazione, la riproposizione di uno stesso motivo [in questo caso affidato all’orchestra] cambiando tonalità. E' riconoscibile a 8'20'' del nostro ascolto), lo stesso frammento melodico ripetuto in crescendo, avvolgente e incantatorio, che ci tiene sospesi e ci protende verso la sua conclusione. Ma una paurosa dissonanza interrompe il duetto (re Marke - lo sposo di Isotta - è arrivato ed ha colto in fragrante amplesso gli amanti) e lascia incompiuta la frase che troverà la sua conclusione soltanto al termine dell'opera con la morte di Isotta.

Ascoltiamo il duetto in una registrazione storica del 1961: Birgit Nilsson soprano (Isotta), Fritz Uhl tenore (Tristano) e il mezzosoprano Regina Resnik (Brangania) accompagnati dai Wiener Philharmoniker diretti da George Solti.
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 Giuseppe Verdi (1813 - 1901) - Otello - duetto atto I°            

Dai deliri musicali frutto dell’immaginazione folgorante e visionaria di Wagner, all’«Otello» di Verdi in cui la morte non è vista come luogo di esaltazione e di dissolvimento totale dell’atto d’amore, ma è presente come momento supremo di sublimazione.
Canta Otello: “Venga la morte e mi colga nell’estasi / di questo amplesso / il momento supremo. / Tale è il gaudio dell’anima che temo, / temo che più non mi sarà concesso / quest’attimo divino”.
Il canto lascia indovinare quel desiderio ardente che consuma l’animo di Otello e di Desdemona e in trasparenza sentiamo le immagini del baratro, degli abissi e della tragedia ormai prossima.
Il violoncello introduce il dolce, languido motivo d’amore aperto da Otello e ripreso da Desdemona, e l’orchestra sottolinea garbatamente l’evoluzione dell’espressività testuale con la pregnanza o la rarefazione dinamica e con l’uso dei fiati – legni (clarinetti, oboi, fagotti, flauti) e ottoni (trombe, tromboni, corni, tube) – o degli strumenti ad arco, più appropriati alla stimmung del momento. Sempre, comunque, affettuosa e tenera, mai sospinta da incontrollate pulsioni sessuali. 

Ascoltiamo il duetto nell'interpretazione di Renata Tebaldi soprano e del tenore Mario del Monaco, accompagnati dai Wiener Philarmonic diretti da Herbert von Karajan.

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Henry Purcell (1658-1695) - Dido and Aenas - Morte di Didone

   
L’aria del suicidio di Didone abbandonata da Enea, 'When I am laid in Earth', è un lamento di grande portata tragica anche se sublimata dallo stile tipico del periodo barocco inglese. Il lamento è costruito su un basso ostinato (motivo ostinatamente ripetuto) in scala discendente con lievissime variazioni ritmiche e armoniche che danno esito a un mondo drammaturgico di grande sofferenza umana.

Ascoltiamola da Jessye Norman. 

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Pyotr Ilyc Čajkovskij - Romeo e Giulietta - Ouverture Fantasia

Čajkovskij tormentato dal peso della vita
Con questo brano torniamo al tardo romanticismo. 
E’ scritto per una grande orchestra con esiti di grande trasporto lirico e di superlativa orchestrazione. Tutta la produzione ciaicovschiana è, spesso, tacciata di languori e sentimentalismi morbosamente crepuscolari. Ma Čajkovskij è un tardoromantico, quindi sta negli stilemi dell’epoca; oltretutto quegli aspetti sono sommersi, vanificati dalla spontanea sua vena creativa e dal modo connaturato di melodizzare. E’ musica che sembra immediata, nata da facile creatività ma non per questo improvvisata (lo dimostra la lunga elaborazione di quest’opera che è stata modificata più volte per giungere alla versione definitiva dopo undici anni). La musica di Čajkovskij è strettamente legata ai codici compositivi, sapientemente costruita sintatticamente e, quindi, inattaccabile da critiche facilone che si appellano esclusivamente alla cantabilità di questa musica.
«Introduzione - andante non tanto, quasi moderato»: la forma è quella del corale che Čajkovskij dedica a frate Lorenzo, colui che sposa segretamente i due giovani e organizza la loro mancata fuga.
II tema melodico dell’«allegro - molto meno mosso»  (affidato al corno inglese [famiglia degli oboi, con timbro malinconico] e alle viole con sordina) rappresenta la passione amorosa dei due giovani.
Ripresa dell’«allegro» con sonorità molto massicce evidenziate dai colpi di piatti che evocano la rivalità tra le due famiglie.
«Coda (parte conclusiva di un brano) - moderato assai»: il fagotto accompagnato ostinatamente da un rullo di timpani, evoca il ‘tema dell’amore’ che viene bruscamente interrotto. Interruzione del tema, interruzione dell’amore: Eros legato indissolubilmente a Thanatos.
E’ un discorso, quello di ‘Romeo e Giulietta’, molto consequenziale e chiarissimo dall’inizio alla fine. E’ la parabola di un amore che finisce con la morte, ma che nel finale intensissimo riesce a superare tutte le contingenze terrene per sublimarsi nel metafisico.

Ascoltiamo l'interpretazione di Leonard Bernstein che dirige la New York Philharmonic Orchestra.

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Amore e Morte hanno ispirato i più grandi artisti di tutta la sfera dell'arte: oltre alla musica di cui ci siamo occupati, la letteratura (in prosa e in versi), la pittura, la scultura, l'architettura, la danza, il teatro e il cinema. 
Leopardi poteva esserne immune? La sua sensibilità, acuita dall'inferma salute, lo ha indotto a scrivere, appropriatamente per noi, la poesia intitolata 'Amore e morte'.
Ascoltiamola dalla voce, sensibile e coinvolgente, di Carmelo Bene.

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Trascrivo alcuni versi:

Fratelli, a un tempo stesso, Amore e Morte / ingenerò la sorte. / Cose quaggiù sì belle / altre il mondo non ha, non han le stelle. / Nasce dall’uno il bene, / nasce il piacer maggiore / che per lo mar dell’essere si trova; / l’altra ogni gran dolore, / ogni gran male annulla ...
... Quante volte implorata / con desiderio intenso, / Morte, sei tu dall’affannoso amante! / quante la sera, e quante / abbandonando all’alba il corpo stanco, / se beato chiamò s’indi (da quel luogo) giammai / non rilevasse il fianco, / nè tornasse a veder l’amara luce! ...