venerdì 7 dicembre 2018

  György KURTÁG  (1926 - )  
aforismi sospesi tra urlo e silenzio


György Kurtág (museoscala.org)



Il senso freschissimo delle sue proposte lo hanno tenuto ai margini delle offerte concertistiche occidentali. Il Teatro alla Scala ha presentato, il 15 novembre 2018 in prima mondiale, l'unica sua opera scenica (compiuta all'età di novantadue anni) intitolata "Samuel Beckett: Fin de partie, scènes et monolgues, opéra en un act", risvegliando l'interesse per il grande musicista ungherese.          

Nato in una cittadina rumena, a vent'anni si trasferisce a Budapest dove compie gli studi musicali, ampliati poi a Parigi con Milhaud e Messiaen. La sua notorietà è stata a lungo limitata all'Ungheria: soltanto negli anni ottanta le sue opere si sono diffuse nei maggiori centri musicali europei. Il suo stile non si lega a nessuna scuola degli anni cinquanta: serialismo di Darmstadt, minimalismo, musica spettrale ed ogni ricorso a correnti neomedievali o neoromantiche. Rifiuta decisamente l'aleatorietà di John Cage per immergersi - in un'invenzione tutta personale - nell'infinito mondo della memoria in cerca di una innocente forza primigenia. 
"Fiori noi siamo"  Kurtág ha chiamato l'inizio dei "Giochi" (Játékok), brano costituito da soltanto sette note che lui e la moglie Márta - compagna affettiva oltre che pianista insostituibile nelle composizioni a quattro mani - eseguono come apertura dell'opera, un 'Work in Progress' perché in elaborazione continua.
Iniziamo l'ascolto di alcune opere fondamentali nella produzione del nostro autore, proprio con Játékok per pianoforte a quattro mani:
1) Fiori noi siamo
2) "Aus tiefer Not schrei ich zu dir" (Dal profondo a te grido) J.S.Bach, Corale BWV 687.
3) Sonatina introduttiva di "Gottes Zeit ist die allerbeste Zeit"  (Il tempo di Dio è il migliore) J.S.Bach, cantata "Actus tragicus" BWV 106.  
Le trascrizioni di Kurtág non travisano l'assunto metafisico bachiano, ma ne esaltano la connotazione.  

clicca e ASCOLTA "Játékok"

Márta e György Kurtág al pianoforte


"Kafka-Fragmente op.24" (1985-87)  per  soprano e  violino su  frasi tratte da lettere e note di diario di Franz Kafka (1883 - 1924).
Il 16 gennaio 1922 Kafka scrive: "l'inseguimento ci strazia e ci attraversa", cioè alimenta la lontananza, l'esitazione. E ci allontana dalla meta.
Kurtág non mira ad una coordinazione globale dei vari brani messi in musica. Ma ogni singolo pezzo è parte di un tutto.
Prima parte N.18: "Sognante pendeva il fiore sull'alto stelo. Lo abbracciava il crepuscolo" (Dai "Diari" di Franz Kafka).
Il violino accompagna il canto disperante del soprano e ne sottolinea le esitazioni urlate piuttosto che sussurrate.

clicca e ASCOLTA "Kafka-Fragmente - Iª parte N.18"


Juliane Banse soprano, Andras Keller violino



"Grabstein für Stephan op.15c" per chitarra e gruppi di   strumenti disposti nello spazio (1978-79, rev. 1989)

E' lo stesso Kurtág a suggerire un'interpretazione in una lettera indirizzata ad un'orchestra che stava provando il brano. "Questa composizione è sull'orlo del nulla ... Ognuno di voi ha da suonare al massimo due o tre melodie che, per di più, sono costituite da un minimo di tre a un massimo di cinque suoni". Ma forti - eppur delicate - sono le emozioni che noi ascoltatori proviamo. Impercettibile è la linea di confine tra presenza e assenza, tra il tutto e il nulla; e l'atmosfera indotta dai ripetuti accordi arpeggiati, magici e ripetitivi della chitarra, inframezzati dai paurosi colpi di timpani, ci conducono in prossimità della tomba dell'amico del compositore.

clicca e ASCOLTA "Grabstein für Stephan"


Jürgem Ruck chitarra - Berliner Philharmoniker dir. Claudio Abbado



"... quasi una fantasia op. 27 N.1" per pianoforte e gruppo  di strumenti (1987)

Gli strumenti devono essere disposti in modo che la musica circondi chi l'ascolta. L'introduzione comprende solo nove battute fatte di scale discendenti, eseguite dal pianoforte, che rivivono l'atmosfera poetica di "Fiori noi siamo": tutto nasce dal nulla. Una lunga pausa porta al II movimento (2'47'') Presto minaccioso e lamentoso: un incubo dal ritmo palpitante, aperto dal pianoforte nel registro più basso e con l'uso di cluster (più tasti attigui abbassati contemporaneamente) per suggerire che gli incubi hanno origine nella sfera più profonda del nostro essere.

Il  III movimento, Recitativo disperato (4'45''), è aperto dagli ottoni e dagli sconvolgenti colpi di timpano; poi dagli archi e dal desolato oboe che sembra non ottenere risposta. Il recitativo si conclude violentemente.

Il IV movimento, Aria (6'12''), si apre con una delicata melodia affidata al pianoforte e subito ripresa dagli archi; melodia interrotta più volte per voler fermare il tempo. Un pedale (nota tenuta a lungo) del violoncello chiude la composizione poco a poco: è un momento catartico che porta al superamento del dramma nella consapevolezza dell'umana solitudine.
Kurtág antepone al quarto movimento gli ultimi versi della poesia "Ricordo" di Hölderlin:
Il mare dona e toglie il ricordo; / l'amore fedelmente fissa i suoi occhi. / Ma ciò che rimane ... Qui Kurtág omette il finale: lo fondano i poeti. Come a voler suggerire che soltanto la musica e l'arte possono fondare la salvezza.

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Ronald Cavaye pianoforte, New Japan Philharmonic dir. Michiyoushi Inoue



"Ligatura - Message to Frances-Marie Uitti op 31b"
(The Answered Unanswered Question)  
per 2 violoncelli, 2 violini e celesta (1989)

La dedicataria del brano è la ineguagliabile violoncellista americana che riesce a suonare contemporaneamente con due archi.
La ligatura è un segno musicale antico (XIII-XVI sec.) indicante un gruppo di due o più note raggruppate in un solo disegno e riferite a un'unica sillaba.   
Wikipedia.org
Il sottotitolo si riferisce al brano "The Unanswered Question" (La domanda senza risposta) del compositore americano Charles Ives. Come si può rispondere a una domanda senza risposta? Soltanto rivolgendo il nostro pensiero al senso ultimo delle cose, alla loro precarietà terrena sospesa tra il prima e il poi. Il discorso musicale di Kurtág è conciso e prossimo all'afasia: gli accordi eseguiti dai violoncelli sono triadi (es: do-mi-sol) con l'aggiunta di una nota estranea all'armonia tonale e, perciò, portatrice di una conturbante dissonanza.
Il brano continua nell'assoluta mancanza di movimento, nella staticità che caratterizza l'opera.  L'ultima nota dei violoncelli apre l'ingresso alla celesta che con tre accordi vince le tenebre e ci dona uno spiraglio di luce. 

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Miklós Perényi e Keller Quartet

What is the Word op. 30b per attrice, contralto solo, voci e gruppi di strumenti disposti nello spazio (1991)
Il testo è tratto dall'omonima poesia dello  scrittore  irlandese 
Samuel Beckett  (1906-1989)  dedicata  all'attrice  Ildikó  Monyok
Samuel Beckett (loschermo.it)
che in un incidente automobilistico aveva perso l'uso della parola, riacquistato poi faticosamente. Frammentate e poche sono le parole che Kurtág mette in musica. Lo stile del canto ricorda lo Sprechgesang di Schönberg, ma è fatto di sillabazioni - lente o mosse - su intervalli brevi, a volte vicini al sussurro, altre al grido, comunque sempre prossimi all'afasia.
Per meglio comprendere le scelte stilistiche della linea vocale compiuta da Kurtág, sarà bene trascrivere alcuni versi del testo di Beckett:

follia - / follia per - / per - / cos'è la parola - / follia da questo - / tutto questo - / follia da tutto questo - / dato - / follia dato tutto questo - / vedendo - / follia vedendo tutto questo - / questo - / cos'è la parola - / questo questo - / questo questo qui - / tutto questo questo qui / follia dato tutto questo - / vedendo - / follia vedendo tutto questo questo qui - // 
...scorgere - / sembrare scorgere - / avere bisogno sembrare scorgere - / languidamente lontanamente via laggiù cosa / follia per avere bisogno sembrare scorgere / languidamente lontanamente via laggiù cosa - / cosa - / cos'è la parola - / cos'è la parola //
(traduzione di Ada Ferianis)
Potremmo concludere affermando che, se la parola non si può scorgere, la comunicazione è impossibile. 


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Ildikó Monyók attrice, Annet Zaire soprano, A.Schönberg Chor, Ensemble A.Webern dir. Claudio Abbado


Intendo concludere la breve testimonianza su Kurtág, con un brano emotivamente più coinvolgente, più vicino al suo sentire la musica, al modo di comporla in frasi musicali brevi, espressivamente molto concentrate, ma dense di forza drammaturgica. Spesso evocanti una dimensione di estrema solitudine.

ΣΤΉΛΗ (Stele) op.33 - per grande orchestra (1994)
Kurtág scrisse questa composizione per Claudio Abbado, allora direttore dei Berliner Philharmoniker.
Il titolo è scritto in greco sulla partitura per amplificare il grado di omaggio serbato al compositore ungherese András Mihály, morto l'anno precedente, dedicatario dell'opera.
Inizia con un Adagio in cui la nota sol in ottava, fluttua e oscilla dandoci un senso di lontananza, di ricordi sbiaditi ed evanescenti. Entrano i flauti con un motivo doloroso seguito dall'intervento degli ottoni, delle tube in particolare (1'45'') che in modo pesante, hommage a Bruckner (così in partitura), eseguono una specie di corale.
Il II movimento, Lamentoso,disperato con moto, (nicht zu schnell, aber wild = non troppo veloce, ma selvaggio) (2'46'') L'idea musicale è ansiosa, persistente e assillante in un crescendo suggestivo e caotico evocante la morte. Subentra un momento di strana immobilità che vuole evocare - l'ha detto Kurtág - la scena del principe Andrej (uno dei protagonisti di "Guerra e pace" di Tolstoj) ferito e disteso a terra con lo sguardo rivolto al cielo: "Come mai non ho veduto prima questo cielo sublime? ...Non esiste nulla tranne esso. Ma nemmeno esso esiste; non esiste nulla, tranne il silenzio, la quiete, il riposo".
Il III movimento Molto sostenuto, in forma A-B-A, inizia (6'54'') con una serie di quintine di crome (ta ta ta ta ta >) ripetute per cinque volte, ma in diminuendo. La parte B ripete un motivo affidato ai legni (flauti, clarinetti, oboi) e agli ottoni che presto viene stemperato dal rientro di A sino alla dissoluzione finale in una austerità pietrificata. 

clicca e ASCOLTA "Stele op.33"
Berliner Philharmoniker diretti da Claudio Abbado



Kurtág non reca angoscia, non strugge ma delicatamente induce a riflessioni profonde. Quelle per le quali ringraziamo l'autore novantaduenne al quale auguriamo - egoisticamente anche a nostro favore - tanti anni di proficua produzione musicale.