mercoledì 2 maggio 2018

LA ZATTERA DELLA MEDUSA 
Das Floß der Medusa 
di Hans Werner HENZE


Théodore Géricault - Le Radeau de la Meduse - 1819  (Tratto da Wikipedia) 

Hans Werner HENZE (1926 - 2012) - tratto da Wikipedia
Hans Werner Henze nacque nel 1926 a Gütersloh, città della Germania, ma si trasferì presto in Italia al fine di evitare l'avversione che l'ambiente socio/politico locale gli serbava per il suo essere marxista e omosessuale.
Per promuovere la diffusione della musica contemporanea, fondò a Montepulciano, il Cantiere Internazionale d'Arte.
Lo stile compositivo di Henze parte dall’atonalità della seconda Scuola di Vienna (quella di Alban Berg e di Anton Webern) e dalla tecnica dodecafonica (di Schoenberg) che usa perché ritenuti  metodi compositivi adatti all'evoluzione della sua espressività. Scuole dalle quali presto si allontanerà per riscoprire la tonalità in un confronto con il passato musicale, senza temere di apparire reazionario. La sua musica si arricchisce di tecniche e correnti di varia provenienza: neoclassicismo, microtonalità e persino taluni aspetti del jazz. Paradossalmente, nel suo essere conservatore, anticipa gli aspetti caratteristici dell'attualità: quelli propri ai compositori del corrente XXI secolo.
Ho avuto l'occasione di ascoltare e vedere due opere di Henze: El Cimarron (Il selvaggio) al Teatro Caio Melisso di Spoleto per il  Festival dei due Mondi 1970con l'eccezionale Stomu Yamashta alle percussioni.
E il Requiem, per tromba solista e orchestra, alla Basilica di San Marco, in Venezia, nel corso della Biennale Musica 1995: la tromba era posta in uno dei matronei per creare un effetto stereofonico di grande suggestione.
Verso la fine degli anni sessanta, Henze aderisce al marxismo e, conseguentemente, le sue opere si fanno meno introspettive e più vicine alla realtà quotidiana: quella più tormentata degli umili e dei reietti. Erano gli anni dei movimenti studenteschi e operai del “sessantotto”, ed Henze dedica a Che Guevara la sua composizione tecnicamente più innovativa di quel periodo: “La zattera della Medusa”, oratorio (dramma musicale privo di rappresentazione scenica) scritto nel 1968 su testo di Ernst Schnabel, ispirato al famoso quadro di Théodore Géricault in cui si vedono delle persone che lottano per la sopravvivenza in un mare tumultuoso. E' un'opera di grande complessità formale e semantica.

INEGUAGLIABILE REGIA di Romeo CASTELLUCCI 

Frequenti sono le critiche negative rivolte ai registi che intendono attualizzare le situazioni drammaturgiche delle opere liriche. E spesso sono meritate. Ma quando la genialità è propria all'artista, l'esito può avvalorare la stessa opera. Romeo Castellucci appartiene a questa categoria ed è il regista dell'oratorio "La zattera della Medusa" di Henze eseguito recentemente alla "Dutch National Opera" di Amsterdam.
Il programma di Radio3 "Momus" - curato da Sandro Cappelletto - ha proposto, il 17/03/2018, un'intervista di Laura Zanatti a Castellucci del quale riporto le risposte date (qui, ovviamente trascritte, ma in realtà registrate a viva voce) perché ci danno l'occasione di capire il senso della musica di Henze e le motivazioni delle scelte registiche volute dallo stesso direttore artistico. 


Romeo Castellucci:
"L'evento del naufragio si riflette in questi giorni; questo era un dato inevitabile ...E' difficile prendere una posizione, sul piano artistico, di un massacro del genere senza cadere nel pericolo illustrativo e - ancora peggio - del sentimentale. Ma la spigolosità di questa musica mi ha aiutato: non c'è un filo di sentimentalismo. Si direbbe che ciò che ha mosso Henze era questa specie di urgenza, di denuncia dello stato di abbandono dei miserabili della terra: naturalmente la zattera è una metafora, un meccanismo retorico usato anche da Géricault che fa la stessa denuncia. Quindi la cosa interessante era vedere come il contenuto politico del quadro e dell’oratorio si rifletta - secondo un’angolazione completamente diversa  ma ugualmente urgente - in questi giorni. E vorrei dire ancora più urgente. Perché ciò che succede nella zattera di Gericault e nell’oratorio è letterale: vediamo veramente persone che lottano per la vita in mezzo alle onde del mare. Questa è la cosa più sconcertante e anche più difficile da gestire, da manovrare, da pensare su un palcoscenico. 
Ho quindi pensato – insieme alle mie collaboratrici (n.d.r: la "Societas Raffaello Sanzio") – un dispositivo particolare, vorrei dire ottico, in cui si riceve sul volto l'immagine di un uomo gettato nell'acqua. Questa è l'immagine di base che continua per tutto il tempo della durata dell'oratorio. Per essere più specifici, questo è un lavoro che si esprime secondo due linguaggi: quello cinematografico e quello teatrale/musicale. Gli spettatori possono assistere a questa rappresentazione attraverso uno schermo, una grande tela - che è anche la tela della zattera - su cui è ricamato con un filo d'oro il titolo di un giornale; ma questo ricamo è soltanto per metà perché Caronte stava ricamando il logo del "The New York Times", ma qualcosa succede per cui è costretto ad interrompere il ricamo per issare la tela. A un certo punto si vede proiettato sullo schermo un film che è girato in Senegal, che era la destinazione originale della flotta. Era una spedizione militare fatta dai francesi per recuperare il Senegal dopo il dominio inglese. Per me è importante avere un elemento oggettivo, un elemento storico che trovi delle simmetrie, dei riferimenti con ciò che avviene in questi giorni. 
Il protagonista del dipinto di Géricault è un nero in cima alla piramide che sventola un drappo rosso; è lui a riconoscere una nave che sta arrivando, la nave che si chiama "Argo" ed è la nave dei salvatori. Si chiama Jean-Charles - conosciamo anche il nome di questo mulatto - ed è anche il protagonista dell'oratorio di Henze. Per me era importante avere come protagonista un uomo di colore; abbiamo proposto ad un maestro di nuoto senegalese di fare una prova: per quattro giorni resistere in acqua per almeno ventiquattro ore divise in quattro giorni. Perché questo era il tema del film: vedere una persona, Jean-Charles, nel tentativo di stare a galla. Quindi per tutto il tempo abbiamo la testa di questo uomo che cerca di resistere nell'acqua: noi naturalmente abbiamo tagliato i giorni e le ore di questa sua prova. Però si vede, nel corso del tempo, la fatica, la lotta per la sopravvivenza. 
Questo è l'unico riferimento possibile di ciò che avviene nei nostri  mari in questa nostra epoca".
Cappelletto precisa:    
“Sono tre i personaggi: La morte, Jean-Charles l’africano che salverà, innalzando un vessillo rosso, a farsi avvistare da una nave che poi, quelli che ce l’hanno fatta, riuscirà a portarli in salvo, e Caronte - che divide i vivi dai morti – e che è il nocchiero che conduce nei regni dell’averno. Il problema di allestire questo oratorio è la necessità di avere un coro di grandi dimensioni; l’Opera di Amsterdam ha coinvolto tre cori (il proprio coro, la Cappella di Amsterdam e uno di voci bianche che è un ruolo molto importante). Subito emerge la capacità di Henze, inconfondibile per chi frequenta la musica del Novecento e contemporanea, di far cantare, di non porsi il problema di raggiungere l'espressione, la forza dell'espressione, attraverso il canto.
Ritorniamo all'intervista di di Laura Zanatta:
Su quella zattera ci soni i morti e i vivi insieme. Come si risolve musicalmente e scenicamente questa indicazione drammaturgica fondamentale di Henze e Schnabel?
Castellucci
Questo è un grande tema, un tema acustico proprio perché ha una caratteristica che non si poteva evitare: il direttore dell'orchestra Igor Metzmacher era molto attento a questi aspetti: c’è effettivamente un travaso di persone, di elementi del coro, che si riversano dalla parte dei vivi a quella dei morti. Dal punto di vista visivo tutto questo non era possibile vederlo, nel senso che ci sono altre immagini che significano questo spostamento: i pochi che diventano molti viene espresso secondo un’altra forma: è un dispositivo ottico, vorrei dire: si vede l'immagine di un uomo gettato nell’acqua. E questa è l’immagine di base che continua durante tutta la durata dell’oratorio. 
La scena dell’esecuzione musicale e vocale è concepita in due parti, una destinata ai vivi e l’altra ai morti, interpretati da una poderosa massa corale. Caronte, la voce recitante e narrante, è la figura mediana tra i due mondi, separati da una precisa scelta strumentale. 
I vivi sono associati ai fiati, mentre i morti agli archi, in un sistema di spazializzazione delle voci che è già una dichiarazione drammaturgica. Si potrebbe dire che musica e parole siano concepite come una specie di assemblaggio, una sorta di zattera realizzata con pezzi eterogenei.
Caronte è il traghettatore psicopompo, per definizione un medium tra due mondi. È costretto nel ruolo di comunicatore, ha il compito di raccontare la vicenda da una zona franca. È un narratore, dai tratti brechtiani nelle intenzioni di Henze. Jean-Charles invece è un immerso, nel senso letterale, colui che patisce la storia. La Morte è, drammaturgicamente parlando, un personaggio da maneggiare con estrema cautela: basta il suo nome a trasformare ogni cosa in materia allegorica. Ho munito la Morte di un oggetto totemico: una telecamera. O forse sarebbe meglio dire che la Morte è la telecamera, dotata di uno sguardo da rettile, meccanico, in grado di replicare all’infinito l’immagine. E un’immagine riprodotta all’infinito non è più esattamente un’immagine, è la morte dell’immagine. La riproduzione meccanica dello sguardo esprime il modo disfunzionale di divorare le immagini della nostra epoca, precipitando la realtà nel getto continuo dell’informazione che non conosce differenze: un rumore bianco (n.d.r: rumore come quello di un sottofondo di un televisore o di una radio accesi in assenza di programmi. Simile alla luce bianca che è la somma di tutti i colori).  
Non volevo dare un giudizio, non volevo dare un commento, non volevo creare un momento sentimentale, ma semplicemente mostrare un fatto: cosa vuol dire restare a galla. La musica, a sua volta, è una marea. Henze ha composto il ritratto del mare, si può dire, con delle onde spaventose, poi delle calme, le risacche ecc. ecc. Quindi questa testa che galleggia ti guarda in mezzo a queste onde continuamente scosse. Lo spettatore, per il fatto di vedere, fa parte dei personaggi di questo oratorio: lo spettatore è presente, non è colui che da lontano osserva il naufragio. Lo spettatore è costretto a curvare lo sguardo fino a vedere nella testa di quell’uomo che galleggia, a vedere il proprio ritratto e a esser chiamato e in qualche modo coinvolto. 
Cappelletto: Con queste parole Castellucci ci racconta che è entrato profondamente nella drammaturgia dell’oratorio di Henze perché le prime parole sono dedicate allo sguardo: sguardo di chi è su quelle zattera e guarda verso la riva. E' lo sguardo di chi è sulla riva – tutti noi spettatori – e guarda verso la zattera. 
Castellucci:
Credo molto nella funzione della finzione nel teatro: paradossalmente vedo un modo più diretto rispetto ad un’immagine reale che ci possa arrivare dal telegiornale. Questa è anche la grande potenza, la grande forza della tragedia, del teatro occidentale: quella di riprodurre il male. La riproduzione del male ci fa fermare per un attimo e fa riconfigurare lo sguardo, la propria posizione proprio perché è stato creato, preparato per tempo, in qualche modo. Perché questa immagine dipende da te: se lo spettatore non fosse presente, questa immagine non avrebbe senso, non esisterebbe neanche. Quindi è preparato per te, c’è questa specie di contratto che lega la funzione allo spettatore: lo costringe, in qualche modo, a pensare. E’ una interruzione di informazione, un’interruzione di comunicazione; ed è per questo che si apre una sfera differente, possibilmente più profonda, comunque differente rispetto al dominio della comunicazione. L’esperienza dell’arte, l’esperienza della finzione, hanno questo potere di interrompere la funzione di interruttori in cui si possa veramente pensare. Io non ho un’intenzione, non ho una morale, non ho neanche una soluzione, non so cosa il pubblico possa pensare: non è mio compito: non credo assolutamente in un teatro pedagogico. Si tratta di restituire una forma. In questo caso la forma parla in quanto tale, non perché l’ho inventata io; in realtà le forme non si inventano, si possono solo mettere assieme, si possono solo far accadere. Io ho cercato di far accadere questa immagine che è la più sintetica possibile, la più semplice possibile, che è quella di una testa galleggiante per molto tempo. Avrebbe potuto durare ancora di più.
Cappelletto: Jean-Charles si salverà guidando anche i superstiti alla salvezza. Venne il secondo giorno e il coro dei vivi gli risponde; a mano a mano che si va avanti coi giorni i vivi diminuiranno e aumenterà il numero dei morti. E la morte è uno dei tre personaggi solisti nell’oratorio/opera di Henze. Cosa fa la morte in scena nello spettacolo di Castellucci, come si muove?
Castellucci: E’ un personaggio complesso, un personaggio nella mente di Henze un personaggio alla Bergman, di una allegoria medievale; un personaggio molto difficile da trattare perché è un personaggio che, si direbbe, galleggia: se le persone galleggiano nell’acqua, la morte galleggia sulle persone. Disegna un personaggio ironico, secondo il librettista Schnabel. Una cosa che ho pensato è stato di darle una telecamera. Quindi è qualcuno che riprende queste cose, quindi è qualcuno, qualcosa che paradossalmente immortala queste immagini e le riproduce all’infinito, le immagazzina, le stocca come fossero cose. Quindi l’esperienza di un uomo che sta a galla, di uomo che cerca di lottare per la vita, diventa un’immagine, diventa un’illustrazione. Questo è stato l’attributo che caratterizza la morte che è un personaggio che passa tra gli altri: non ha delle intenzioni, ma ha questa neutralità abbastanza inquietante nel libretto. Questo oggetto acquista uno spessore particolare che potremo riconoscere oggi in questo suo cinismo tecnologico di una riproduzione dell’immagine che diventa un elemento mortale in quest'epoca. 
Cappelletto: Il 17 luglio 1816, prima delle sette del mattino, un vascello di passaggio, l’ «Argus», vide la bandiera rossa della Medusa, quella del mulatto Jean-Charles. 
E’ Caronte che sta raccontando i momenti finali del naufragio della Medusa, il salvataggio dei superstiti. Ed è anche il finale dell’Oratorio “Das Floss der Medusa" di Hans Werner Henze.

Alla fine dell'oratorio, Caronte chiude la tela del "The New York Times" e ne abbassa una fatta di filo d'oro scintillante. Perché l’oro è simbolo della guarigione, dell'immortalità e della crescita. Ovviamente Castellucci cerca e trova una conclusione orientata a suggerire la speranza di redenzione della cinica società contemporanea.

TRAMA 
Le due parti dell'oratorio “La zattera della Medusa”, redatto dallo scrittore tedesco Ernst Schnabel, descrivono una vicenda realmente accaduta. Si tratta del naufragio della fregata Medusa, verificatosi sulle coste africane agli inizi del secolo scorso e riferito dal diario di bordo tenuto da uno dei pochi sopravvissuti.  Esso testimonia  come il 17 giugno 1816, prima delle sette del mattino, una piccola flotta di quattro vascelli di Sua Maestà il Re di Francia Luigi XVIII, lasciò i porti di Rochefort e La Rochelle con l'intenzione di riconquistare i territori del Senegal che l'Inghilterra aveva preso a Bonaparte. Gli altri vascelli restano indietro e la "Medusa", il bastimento più veloce della squadra ammiraglia di Sua Eccellenza il Governatore di Chaumerey,  il 2 luglio passa il Tropico del Cancro. Poi, a meno di trenta ore dalla meta, naufraga contro una scogliera nelle secche di Arguin. Mentre l'incauto pilota, i signori, i preti e i cortigiani cercano scampo sulle scialuppe, il resto dell'equipaggio fra cui ciurma, soldati, marinai, donne e bambini, è lasciato in balìa del fato su una zattera improvvisata. Soltanto due settimane dopo, il brigantino Argo raccoglie gli unici tre superstiti della lunga odissea in stato di delirio. Uno dei tre è il mulatto Jean-Charles.
La tragedia è immortalata nello stupendo dipinto di Jean-Louis Géricault dal titolo omonimo, raffigurante il ritrovamento della zattera da parte dei soccorritori. (Orazio Mula per "Settembre Musica" 1986)

Testo della registrazione [1]
Prologo
Io stesso vi guiderò attraverso le vicende perché recito la parte di Caronte, il nocchiero che fa da spola fra la zattera dei vivi e il rifugio di coloro che, simili a cicale, non sono altro che voci.  
N. 2 Motto per soli e coro: Dal porto è possibile giudicare coloro che sono su una nave. Coloro che sono sulla nave  credono che quelli che sono a terra fuggano. Si parla la stessa lingua qua e là. 
N. 3 Ordine del giorno e ruolino di marcia 
Caronte: Il 17 giugno 1816, prima delle sette del mattino, un convoglio di quattro navi di Sua Maestà Luigi XVIII, re di Francia, salpò dai porti di Rochefort e La Rochelle alla volta dell'Africa. Sua missione era quella di riconquistare i territori lungo il Senegal che erano stati tolti a Bonaparte dalla Gran Bretagna e di restaurare pertanto l'autorità della corona francese. Coro: Vive le Roi!  Caronte: Al comando di Monsieur de Chaumerey, protetto di Sua Maestà, futuro governatore di Saint Jean, Saint Louis e Gorea, e comandante della nave ammiraglia Medusa, furono imbarcati: Il battaglione d'Africa, formato da quattro compagnie di Bretoni, Corsi, Mammalucchi, Malambu, Sardi, Negri, più gli uomini di scorta e le vettovaglie. Trecentoventidue fucilieri, tre dozzine di donne, fanciulli: nove.  Voci di basso: Senza contare i marinai! Bambini: Vive le Roi!   
N. 4 Giornale di bordo 
Coro: Il mare era calmo, spirava piacevole brezza dal Nord...  Bambini: Levate  l'ancora... Coro: Quattro navi, cento vele issate al sole di giugno... Bambini: In partenza per l'Africa!  Coro:  Quattro navi scivolavano dalla baia per rendere gli zaffiri del Senegal alla Corona di Francia.  Bambini: Vive le Roi!  Coro: Vive le Roi!  Caronte: E il convoglio di Sua Maestà il re di Francia è in mare. Il primo giorno esso raggiunge l'altezza della Gironda, il secondo di Santander, il quarto il Finisterre. Il dodicesimo giorno avvistano Tenerife... Jean-Charles:  Sospesa all'orizzonte incorporea fluttuante in lontananza la montagna ci apparve, la più alta, la più insperata delle cime, fantasma della nostra sicurezza!  Coro: O desiderio, o promessa! L'Africa ci chiama!  Bambini: A Senegal si va, si va!  Coro: In Africa!  Bambini: E il primo che la vedrà sei TU!  Caronte:  Dodici volte abbiamo visto infiammarsi il giorno, dodici volte morire da quando la nave salpò per l'altomare. La stella polare si abbassava e ogni volta che cadeva la notte nuove stelle si alzavano a sud, là dov'è l'altro polo, e ci guardavan con strani occhi pieni di bruciante attesa. Coro: O terra promessa!  Jean-Charles: Allora una voce...  La Morte: ... gridava... fratelli... ... Fratelli! Fratelli gridava...  ... gridava Sentite gridare? ...gridava: Fratelli?  Ancora un veglia dista  dai vostri vascelli... ... Vendetta! gridava. Vendetta! Bassifondi!  Se non esitate... ... Terrore! gridava... ...se non mollate ... gridava: crollare  se vi buttate con tutta la  vostra speranza...  senza crollare, ... crollare,  crollare per conoscere il mondo  anche a costo di conoscere  la miseria e la gloria degli uomini ... gridava: miseria allora lo vedrete,  gridava, ... tremate, gridava ...il nuovo mondo, e lo dominerete! ... gridava: perirete...  Questo una voce ci gridava: ... gridava, la voce:  La virtù della conoscenza vi attende.  No - no - no - no!  Coro: Venti alisei, delfini, nuovi richiami, o desiderio!  I velieri veloci avanzavano  e le nostre velature  erano delle ali  veleggianti verso l'Africa... Caronte: Ah! via libera! Le navi si disperdono e la «Medusa», la più veloce del convoglio, la fregata, la nave ammiraglia di Sua Eccellenza il Governatore di Chaumerey... Bambini:  (... fornito di 44 cannoni, con una carica di venti libbre...)  Jean-Charles: ... saluti e grida e... Coro:  Me - du - sa!   Caronte:  Nelle prime ore del mattino del due luglio, con più di mezza giornata di vantaggio sulle altre navi. Bambini:  E il primo che la vedrà sei TU!   Caronte: Incrocia il Tropico del Cancro, il Capo Bianco e Port Etienne, e s'incaglia, a nemmeno trenta ore dalla sua destinazione, sul banco di sabbia di Arquin. 
N. 5 Una risposta 
La Morte: i bassifondi d'Arquin... Vieni, superbia. Venite, voi che siete in troppi. Venite là dove spariscono le navi:  venite alle stelle  che chiamano dall'altro Polo. Se alzate gli occhi un solo istante  per guardare e domandare, le vedrete già più chiare  e più grandi, si avvicinano più velocemente  degli uccelli che volano sul mare splendente. Colpiti dai raggi delle stelle  fuggite, fuggite  per tornare... 


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Testo della registrazione [2]  
N.8  Ballata del tradimento  (taglio della fune che legava la zattera alle scialuppe)
Jean-Charles: Tenevamo fissi gli occhi senza perderli di vista. Stretti ci tenevamo per reggerci nel mare agitato, fissando le barche; fu così che vedemmo come sulla lancia un uomo si alzò per montare sullo scalmo. Eccolo qua in piedi con il cielo rosso, ora alza le due mani sopra la spalla destra come un boia — vedemmo brillare l'ascia nelle sue mani — ora colpisce! Coro: La gomena! Guardate la gomena!   Jean-Charles:  La gomena è tagliata. Voci, quindi tutto il coro:  Cane, boia! O voi cani, boia! Cane maledetto chi ha avuto l'idea, chi ha commesso il misfatto! Siamo perduti!  Coro:  Ora la salvezza è riservata agli ufficiali, ai cuochi, ai luogotenenti, al segretario capo, al capo guardia. La fortuna del mondo porta il tricorno con le piume.  La Morte:  Venite ora. Coro: Dove? Dicci!   
Jean-Charles: Tenevamo fissi gli occhi senza perderli di vista. Stretti ci tenevamo per reggerci nel mare agitato, fissando le barche; fu così che vedemmo come sulla lancia un uomo si alzò per montare sullo scalmo. Eccolo qua in piedi con il cielo rosso, ora alza le due mani sopra la spalla destra come un boia — vedemmo brillare l'ascia nelle sue mani — ora colpisce! Coro: La gomena! Guardate la gomena!   Jean-Charles:  La gomena è tagliata. Voci, quindi tutto il coro:  Cane, boia! O voi cani, boia! Cane maledetto chi ha avuto l'idea, chi ha commesso il misfatto! Siamo perduti!  Coro:  Ora la salvezza è riservata agli ufficiali, ai cuochi, ai luogotenenti, al segretario capo, al capo guardia. La fortuna del mondo porta il tricorno con le piume.  La Morte:  Venite ora. Coro: Dove? Dicci!   
La Morte: Venite ora, venite.  Coro:  Sentiamo la tua voce ma non ti vediamo!  La Morte: Non occorre vedere. Venite.Coro: Ah, il sole al tramonto ci abbaglia!  Jean-Charles: Il sole tramontava.  La Morte: allora il sole splendeva.  Jean-Charles: Venne la notte...  il quarto di luna s'inclinò già nel tramonto, le stelle erano opache. Ci reggevamo per non cadere ora, soli...  La Morte:  ma cadevate per non essere soli durante il volo nel buio.   Jean-Charles:  E la luna sparì! 
N. 9 Canto di nuove voci 
Due bambini: Per correr migliori acque alza le vele. Ormai la navicella del mio ingegno, che lascia dietro a sé mar sì crudele...  Jean-Charles: I primi furono i bambini, e fu ancor prima della mezzanotte...  Soprani: Chico! Pierre!  I due bambini:  E canterò di quel secondo regno, e canterò... Jean-Charles:  Nulla. Nessuna risposta. L'eco li smentì. E quando la luna tramontò, Azak lasciò la presa, quindi Rigault, poi Condin, Cherson...  Bassi:  Azak! Azak!   Jean-Charles: Accadde a mezzanotte, nessuno piangeva più. Più strette le nostre dita si aggrapparono. Ma il silenzio passò la notizia dall'uno all'altro finché tutti seppero. Quindi Venere si alzò e l'alba la seguì stanca verde. Dal buio emersero delle facce che rimanevano fisse. Così potevamo contarci, e ci guardavamo...   Bassi:  Manca il moro!  Tenori:  E dove sono i sardi?   Soprani-Mezzosoprani:   E i corsi? I savoiardi?  Jean-Charles:  Si era fatto giorno.  I morti (bassi): Non lasciavam l'andar, per ch'ei dicessi, ma passavam la selva tuttavia, la selva dico, di spiriti spessi.  I morti (tenori): Dolce color d'orientai zaffiro, che s'accoglieva nel sereno aspetto... I morti (mezzosoprani): ... del mezzo puro insino al primo giro...  I morti (soprani): ... agli occhi miei ricominciò diletto, tosto ch'io uscì fuor dell'aura morta...  Tutti i morti: ... che m'avea contristati li occhi e il petto.   La Morte: Lo bel pianeta che d'amar conforta, faceva tutto rider l'oriente, velando i pesci, ch'erano in sua scorta...   
N. 10 Istruzioni per il secondo giorno 
Jean-Charles: E venne il secondo giorno, e semmai i giorni dovessero avere una coscienza, quel giorno non potrà dimenticar se stesso.  Coro dei vivi:  Dice che questo secondo giorno non ha coscienza di noi.  Jean-Charles: Nel cielo bianco un sole nero. Non guardate. Due botti di acqua, sette botti di vino e una di gallette.   Coro:  Dice alzate le mani per l'appello.  Jean-Charles: Oggi non si segna il tempo e i secondi girano a vuoto. Una botte di minuti fa un'ora e una botte di ore fa una mezza giornata.  Coro: Abbiamo sete!  Jean-Charles: Bevete il tempo! Col cielo bianco bevete i minuti e vuotate le ore col sole nero! Coro:  Il sole ci brucia vivi!   Jean-Charles: Allora bevete l'orizzonte vuoto che non ci rivela nave alcuna, bevete le coste scomparse! Bevete sino all'imbrunire!   Una voce: E quando verrà la salvezza?  Jean-Charles: tace, ma uno strumento scimmiotta la sua voce.  Alcune voci:  E quando verrà una nave a prenderci? 
I vivi:  Qualcuno parla! Zitti! Vengono?   Jean-Charles:  È il sole nero che parla, e il cielo bianco, parlano all'orizzonte, la sete sono loro che parlano. Tutti parlano. Il mare deserto grida!  Coro: Il mare grida!  I vivi:  Zitti! Lo sentite?  I morti:  Lo bel pianeta che d'amar conforta, faceva tutto rider l'oriente, velando i pesci, ch'erano in sua scorta.  La Morte:  E canterò... Coro: il cielo bianco  La Morte: E canterò.   Coro:  Stanno arrivando molte vele!  I morti:   E canterò... E canterò... E canterò.  Coro:  Chiamano! Molte voci!   Un vivo: Chi le vede?   I morti: E canterò... E canterò... E canterò.   Coro:   Chi vede la prima vela?    
I bambini vivi:  E il primo che la vedrà sei TU!                                 


clicca e ASCOLTA la registrazione [2]

                                                                                                          


Testo della registrazione [3]      (PARTE SECONDA - La nona notte e il mattino)
Undicesimo, dodicesimo e tredicesimo morente:  Terra! Terra!   La Morte: Venite, voi che siete in troppi.  I morenti: Terra... Oh, la terra!  La Morte: Questa è la riva dell'ultima notte. 

N. 14 Il conto fatale 
Caronte: Mezzanotte. Le nubi si addensano in cielo, vele che attraversano l'abisso del nostro sguardo.  È questa la prima notte in cui non c'è più niente da bere e quattordici uomini sono prossimi alla fine ma stentano a morire. Stanno affogando nella febbre ma il recipiente dell'acqua contiene solo un sorso per ciascuno.  Jean-Charles:  C'era chi diceva: Due sono i boccali se in due beve uno solo.  I vivi:  Nessuno ha fatto questo calcolo!    No, ma cosi il conto torna.  Caronte: Centoventisei uomini sono morti lottando, urlando e soffocando le grida, mentre quelli rimasti in vita si gettavano sui corpi dei compagni. Ma i tredici sopravvissuti cominciano ad avere delle visioni.  Jean-Charles: C'era chi diceva di sentirsi inaridire dalla sete. Caronte: Cominciano a delirare. Si credono già in Paradiso. ma tendono ancora le mani in cerca di un sorso d'acqua.   Jean-Charles: troppe mani, troppe, e coloro che ricordavano ancora che è possibile morire, dicevano l'uno all'altro: Ecco, i paradisi non gli bastano!  Caronte: Giacciono con lo sguardo allucinato... I vivi: solo le loro mani che si alzano hanno ancora vita.  Jean-Charles: C'era chi diceva: Guardate le mani!  
I vivi:  Guardate quelle mani che ogni notte ci derubano ci rubano il giorno in cui verranno le navi.  Un vivo: Tagliatele!   I vivi: Ma nessuno l'ha fatto! 

N. 15 Ballata dell'uomo sulla zattera 
Jean-Charles:  Un uomo attraversò la zattera, e chi aveva parlato, diceva di non aver detto nulla.   I morti: Non sapevi tu che qui è l'uomo felice?    I morenti:  felice?  I morti:  Tiemmi!  Jean-Charles: Un uomo attraversò la zattera, e vide i febbricitanti: Che farneticate? disse l'uomo.  Un morente:  Stiamo bevendo!  Tutti i morenti:  vino!  Secondo morente: Stiamo mangiando...  Tutti i morenti: ... pane!  Jean-Charles: Avete la febbre!  Tutti i morenti: No!   Jean-Charles: E l'uomo era in piedi sulla zattera, e in tredici stendevano le mani verso di lui che li tenesse. C'era ancora vita in loro, ma la forza e la presa e il futuro scritto nelle mani erano già cancellati.   I morenti: Tiemmi! Tiemmi! Tiemmi!   La Morte: Venite voi che siete in troppi! II vostro tempo è scaduto!  Jean-Charles: Perché li distruggi? Erano uomini ora sono legno morto.  I morenti: Tiemmi! Tiemmi!   
La Morte: Venite, voi che siete in troppi! Sono l'ultima notte.  Jean-Charles: E l'uomo stava in piedi sulla zattera, leggendo nelle mani dei tredici che erano ancora in vita, vide come cercavano un appiglio nel buio e gli prese le mani, prese ogni mano.  I morenti: Sei tu il promesso?  La Morte:  Sono io.   I morenti: Tiemmi! Tiemmi!   Jean-Charles: E l'uomo prese i perduti e li gettò in mare.   I vivi:  Tu l'hai fatto?  Jean-Charles: Voi l'avete pensato, voi l'avete detto io ero solo.  I vivi: Tua è la colpa!   Jean-Charles: Voi mi condannate? Ma la legge dov'è?   I vivi: Siamo fuorilegge.  Jean-Charles: L'unica legge che avete è quella che vi condanna a morte: perché la salvezza c'è solo per il segretario capo, solo le spalline hanno un posto in cielo, i preti si consolano insieme ai furieri spartendosi le provviste. I sorveglianti che avevamo  non ci sorvegliano più, e il capo guardia da tempo ha nascosto il gatto a nove code. La fortuna del mondo porta il tricorno con le piume. Quanti regni ci ignorano!

N. 16 La «fuga» dei sopravvissuti e l'annuncio del salvataggio 
I vivi: Siamo fuorilegge condannati a morte perché i regni non hanno coscienza.  Jean-Charles: Allora fate una legge che ci consenta di vivere!  I vivi: Noi faremo una legge per diseredare chi ha voluto la nostra rovina.   Jean-Charles: E proclamatela ad alta voce che tutti i regni l'ascoltino.   l vivi: Noi siamo la legge e non starem più zitti!   Jean-Charles: Ora distribuite l'acqua!   Un vivo: C'è rimasta solo una goccia per ognuno.  Jean-Charles: No! Tredici sono venuti a mancare. I vìvi: Contate le mani!  Jean-Charles: Contate ciò che volete! La luna che svanisce, il giorno che si alza. Contate i minuti nel cielo bianco, e contate le ore col sole nero. Contate le coste scomparse e l'orizzonte che non rivela nave alcuna.  I vivi: Non verrà mai nessuna nave?   Jean-Charles: Verrà una nave, e sarò io a darle il segnale.  La Morte: Con quel cencio? Jean-Charles: Con questo cencio rosso.  
La Morte: Vieni, tu che sei l'ultimo dei troppi!  Jean-Charles: No!    I vivi: Sta parlando! Tu stai parlando? Con chi stai parlando?  Jean-Charles: Sono solo.  I morti: piano Non sapevi tu che qui è l'uom felice?  
Caronte: E ciò avvenne quando la pioggia cessò e l'oscurità si dissolse. La nuvola si era allontanata dalla luna, l'oscurità dalla zattera ed alcuni dissero che era giunto il giorno. 

N. 17 FINALE 
La Morte: Alza gli occhi! Non vedi negli occhi miei il cielo?   Jean-Charles: Vai! Girati. Davanti ai tuoi occhi la parola viene a mancarci , ed ogni immagine si spegne .  I vivi:  Dice che abbiamo acqua , dice che una nave sta arrivando!   I morti: Ora discendiam qua giù nel cieco mondo , io sarò primo , e tu sarai secondo.  La Morte:  II mio canto parla di un altro mondo.   I vivi:  Dice una nave sta arrivando , dice le darà il segnale con il cencio rosso!   
I morti: Come verrò , se tu paventi, che suoli al mio dubbiar esser conforto?   
Jean-Charles:  Lo bel pianeta che d'amar conforta , si alza dalla notte inoltrata.  I vivi:  Darà il segnale, dice verranno , ci chiameranno. I morti: O voi che siete in piccioletta barca, desiderosi d'ascoltar: tornate a riveder li vostri liti!   La Morte: Guarda! Dall'altro polo si alzano le quattro stelle non viste mai fuor ch'alla prima gente.   I vivi: Stanno arrivando, chiamano siamo salvi!   La Morte: Perduti siete.  I morti: A quella luce cotal si diventa, che volgersi da lei per altro aspetto è impossibil che mai si consenta!   Jean-Charles:  Parla! Là dove sei tu le navi affondano?   La Morte:  No, le navi volano.  Jean-Charles: E le pietre cadono là dove tu sei?   La Morte: Si alzano.   Jean-Charles: E il tempo da te si conta? Parla!  La Morte: No,  poiché ogni effetto da me è seguito dalla sua causa. 
Caronte: Il diciassette di luglio milleottocentosedici, prima delle sette del mattino , il brigantino «Argus » avvistò la «Medusa». Il mulatto Jean-Charles che, fissando la nave della salvezza, aveva agitato uno straccio rosso, era in agonia quando fu soccorso e non riprese conoscenza.  Ma gli uomini che sopravvissero, avendo conosciuto la realtà , tornarono nel mondo ansiosi di sovvertire l'ordine . 


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E' inevitabile l'accostamento della zattera ai barconi degli immigrati in Europa. Quelli che attualmente cercano asilo fuggendo da luoghi poveri e oppressi da regimi repressivi. 
Compiangiamo la loro sorte sperando in (improbabili?) tempi in cui la nostra privilegiata società sia più benevola nei loro confronti. 



Personaggi ed interpreti dell’esecuzione alla "Dutch National Opera" di Amsterdam (2018)
La Morte: Lenneke Ruitten, soprano
Caronte:  Dale Duesing, voce recitante
Jean-Charles: Bo Skovhus, baritono
Orchestra Filarmonica Olandese diretta da Ingo Metzmacher
Coro dell’Opera Nazionale Olandese dir. Ching Lien-Wu
Coro a Cappella di Amsterdam dir. Daniel Reuss
Nuovo Coro di Voci Bianche dir. Eline Welle
Regia: Romeo Castellucci.



NOTA: la trama e il testo del libretto sono tratti dal programma di sala di   
"Settembre Musica 1986", curato da Orazio Mula.











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